Capitolo 1
La didattica dell’italiano: fondamenti linguistici, competenze e abilità
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Nel 1996 De Mauro notava che nella scuola secondaria supe-
riore “il Presidente della Repubblica” non “è andato”, ma “si
è recato”; e soprattutto non “è andato con la faccia incazza-
ta”, ma “si è recato con viso indignato”.
Sappiamo bene che fenomeni in parte correlati e in parte
indipendenti (grandi migrazioni interne, mass media, scola-
rizzazione anche superiore assai diffusa) hanno prodotto un
mutamento epocale rapidissimo: i dati del 1996, ad esempio,
dicono che il 96% della popolazione comprende e parla l’i-
taliano (e più della metà di questi, per fortuna, anche dia-
letto). Il 4% dei dialettofoni puri è costituito in genere da
persone anziane, per lo più di sesso femminile.
A mano a mano che l’italiano diventa sempre più una lin-
gua parlata da tutti e in situazioni comunicative diverse, si
hanno due importanti fenomeni a cui qui si accenna solo
brevemente:
>
la lingua italiana cambia
e, sotto l’influsso del parlato, non-
ché di una maggiore circolazione di varietà regionali, si
modifica non solo il lessico, ma in parte anche la sintassi;
>
le varietà linguistiche
più informali, legate al parlato e limi-
tate ad aree regionali, fino ad un certo punto sanzionate
come una sorta di devianza dalla lingua “corretta”, diven-
tano oggetto di
indagine sociolinguistica
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, che vede la lingua,
nel suo uso sociale, come gamma di varietà
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.
Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta del Novecento
viene sempre più avvertito il contrasto tra l’uso reale, vivo,
funzionale della lingua e la lingua “ingessata” che viene an-
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Berruto (2002: 471) data al 1965-1966 «la nascita effettiva della sociolinguistica
come un settore delle scienze del linguaggio dotato di una propria identità».
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Non è possibile entrare qui nel merito delle varietà linguistiche, ma si raccoman-
da come essenziale la lettura di testi rigorosi ma non eccessivamente tecnici, come
Berruto (2004, 2012).