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Capitolo 2

La metodologia della ricerca filosofica nelle diverse epoche storiche

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www.

edises

.it

2.1

L’età antica

Nella cultura della Grecia arcaica, la “verità” è il frutto della rivelazione divina.

I poeti Omero ed Esiodo si dicono ispirati dalle Muse. Negli oracoli e nei culti

misterici è la divinità stessa (Apollo o Dionisio) a svelare la verità.

La riflessione sul problema della conoscenza nasce, però, con l’avvento del

pensiero filosofico, in particolare con Eraclito e Parmenide, ovvero con la con-

trapposizione tra la conoscenza sensibile (e l’opinione o

doxa

che ne è il pro-

dotto) e la conoscenza della ragione.

Eraclito (seconda metà del VI secolo a.C.), infatti, nega la validità della ricerca

della verità mediante l’esperienza e afferma che la “verità” ama nascondersi e

che si annuncia tramite “discorsi” che la velano, alludono ad essa, invitandoci

a guardare oltre l’apparenza. Il

logòs

, “legge oggettiva della realtà”, si rende

visibile solo agli occhi di una ragione intesa come sapienza che è alla portata di

pochi. Solo i sapienti, i migliori comprendono le contraddizioni della realtà e

solo a loro “eletti” le trasformazioni incessanti del mondo del divenire si mani-

festano come armonia, come

logòs

appunto.

Parmenide (VI-V sec. a.C.) sostiene che la verità è coincidenza tra pensiero ed

essere. La conoscenza sensibile afferma la molteplicità dell’esistere delle cose,

la ragione, invece, le intende come un tutto unico, un “essere”, eterno, ingene-

rato, immutabile. La

doxa

concepisce la realtà molteplice e in divenire, come

mescolanza di essere e non essere, ma chi si affida ad essa non sa che il “non

essere” “non è”, non è concepibile, non è pensabile. Solo la ragione può pen-

sare l’essere, la sola realtà effettiva, dato che il “non essere” è contraddittorio.

La riflessione sulla ricerca della verità continua con altri pensatori.

Empedocle (484-421 a.C.) afferma che la conoscenza si affida ai sensi, i proces-

si conoscitivi si realizzano grazie all’affinità fra gli “elementi” che costituiscono

gli organi sensoriali e quelli che compongono la realtà esterna: “il simile ri-

conosce il simile”, terra con terra, acqua con acqua, fuoco con fuoco.

Anassagora (496-428 a.C.) afferma il contrario: la conoscenza si ha quando il

“dissimile conosce il dissimile”, ad esempio quando si avverte in una cosa il cal-

do per contrasto con ciò che è freddo. Il processo conoscitivo non è dato solo

dalla sensazione, ma da una collaborazione tra esperienza, sapere e memoria.

La teoria della conoscenza della verità tramite ricerca empiristica è particolar-

mente presente nei sofisti, soprattutto in Protagora e Gorgia.

Protagora (486-411 a.C.) afferma che la conoscenza è sensazione e che per

questo l’uomo è misura di tutte le cose; nasce il “relativismo gnoseologico”, ov-

vero si combatte l’idea che esista una conoscenza valida per tutti, la verità muta

da individuo a individuo e in questo stesso da momento a momento. La verità

con Protagora si libera definitivamente dalla rivelazione divina, essa nasce nel

dibattito, nell’interazione tra gli uomini nella città: “vero” è ciò che è “utile” e

ciò che è “utile” o meglio più utile, più conveniente, agli uomini è altrettanto

più vero.

Gorgia (485-376 a.C.) critica la coincidenza tra pensiero ed essere affermata

da Parmenide, dimostrata dal fatto che possiamo pensare cose che nella realtà