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Parte Prima - L’insegnamento di Lingua e cultura latina

sostenibile” (capace cioè «di garantire il soddisfacimento dei bisogni attuali

senza compromettere la possibilità delle generazioni future di far fronte ai loro

bisogni») debba vertere esclusivamente sull’utile dell’

oggi

senza immaginare

prospettive diverse per il

domani

? Non è forse proprio questo uno dei mali at-

tuali più radicati, una sorta di dittatura del presente, che, concentrando tutta

l’attenzione sull’

hic et nunc

, finisce per rendere impossibile il confronto con

il passato e la costruzione del futuro? Su questo punto è forse necessario ag-

giungere alcune riflessioni. È evidente che lo studio del latino (e del mondo

antico) ha a che fare con la costruzione della nostra identità; il punto, però, è

come si vuole intendere la nostra identità e quella dei nostri avi se in maniera

rigidamente compatta, come una sorta di bagaglio, di “cassetta degli attrezzi”

(più o meno ingombrante, più o meno funzionale) di cui servirsi all’occor-

renza, oppure se in maniera dinamica, fluida, mutevole, come qualcosa che si

costruisce col tempo anche sulla base di un confronto/scontro con il passato.

L’identità culturale, allora, non potrà esserci senza una precisa e consapevole

azione di selezione del passato, senza un’acquisizione voluta e responsabile di

aspetti dell’eredità antica. Ciò significa che non esiste il

Classico

come valore

perenne e immutabile, sempre uguale a se stesso con cui il presente (even-

tualmente) si metta in contatto per farlo tornare in vita (quasi che il richiamo

al passato costituisca una sorta di grande seduta spiritica collettiva); esistono,

invece, tanti

Classici

quante sono le epoche della storia che hanno costruito la

propria identità anche colloquiando/scontrandosi con l’antico. Risulta chiaro,

perciò, che richiamarsi al mondo antico non comporta un atteggiamento di

passività, ma al contrario necessiti una sfida creativa da parte di chi si confronta

col passato selezionandone gli aspetti che più gli sono congeniali; sfida creativa

che ha come fine quello di definire meglio la propria identità.

Rimane una domanda: ammesso pure che questo atteggiamento agonistico

sia quello giusto nel rapporto passato/presente, è davvero necessaria un’ope-

razione simile oggi in un’epoca segnata dalla globalizzazione? A tal propo-

sito appaiono particolarmente significative le parole di Gian Biagio Conte:

«Nella fase di globalizzazione, quale è quella verso cui siamo inevitabilmente

sospinti, ricercare l’identità è opportuno; anzi è necessario, altrimenti questa

si perde; ma perderla significherebbe un indebolimento dei rapporti con le

altre culture. Non avremo niente da portare agli altri … Nel panorama della

mondializzazione e del multiculturalismo, termini di cui si fa tanto abuso, esi-

ste una sorta di strabismo da evitare. Con un occhio si guarda a una cultura

planetaria che risulterebbe, alla maniera dell’esperanto dalla convergenza e

fusione delle varie culture; con l’altro si percepisce che le culture politicamen-

te ed economicamente più deboli si chiudono a riccio su se stesse applicando

il cosiddetto fondamentalismo (e si sa che i fondamentalismi sono soprattutto

paura di uno sradicamento). Raddrizzare gli occhi, guardando avanti, signifi-

ca essere consapevoli che i processi storici possono condurre al di là di una

vero volano della ripresa economica, il “petrolio” dimenticato dell’Italia. Il rapporto è con-

sultabile al sito

www.symbola.net

nella sezione documenti.