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Capitolo 1 -Il latino nella scuola italiana

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presenta un’inevitabile conseguenza dell’assoluta superiorità che nella società

attuale è attribuita alla cultura scientifica, considerata come maggiormente le-

gata ad una finalità pratica.

A questo punto è legittimo domandarsi se nella scuola tale dicotomia sia reale

o se invece, come vuole Giuseppe Cambiano, la vera contrapposizione debba

essere fatta tra saperi facili (cioè saperi di superficie, semplici da apprende-

re, ma incapaci di promuovere una vera crescita del giovane) e saperi difficili

(maggiormente dispendiosi sia per i discenti che per la struttura scolastica, ma,

proprio per questo, costituiscono un concreto stimolo al conseguimento dello

spirito critico

7

). Come non essere d’accordo con Piergiorgio Odifreddi quando

dichiara: «L’obiettivo della Cultura dovrebbe allora essere non la contrapposi-

zione delle culture, ma la loro unificazione in un sapere più vasto che inglobi

in sé matematica, scienza, letteratura e arte di ogni contesto geografico e stori-

co»? In quest’ottica non può che apparire avvilente ogni intervento che in sede

di impostazione didattica si riduca a un taglio netto di materie (“Togliamo il

latino e sostituiamolo con l’inglese, la matematica, l’informatica ecc.”).

Riguardo poi all’

inattualità

del latino − e degli studi classici − in quanto discipli-

na inutile, cioè incapace di offrire prospettive concrete nel famigerato mercato

del lavoro, conviene anche in questo caso assumere una visuale più generale.

A tal proposito, c’è chi ha invitato a distinguere tra «utilità immediata» e «uti-

lità differita»

8

dal momento che in una realtà come quella odierna, sottoposta

a continui e radicali rivolgimenti, non è detto che ciò che oggi appare im-

portante continui ad esserlo anche domani (e viceversa)

9

. E, per venire più

specificamente al mondo della scuola: siamo davvero sicuri che una “didattica

7

 Così lo studioso del pensiero antico nel suo articolo

Sapere umanistico/sapere scientifico: uno

pseudo conflitto?

si esprime: «Entrambe le forme di sapere [

sc.

sapere umanistico e sapere

scientifico] contribuiscono, ciascuna nelle sue modalità, alla costruzione, al tentativo di ride-

stare – usiamo un’espressione un po’ retorica – il cosiddetto “spirito critico”. Spirito critico

in che senso? Io lo intendo in questo modo, cioè di far sì che le menti non siano comple-

tamente schiave di ciò che è ovvio, non accettino cioè opinioni come delle ovvietà o delle

verità naturali. Io credo che su questo obbiettivo non ci sia alcun contrasto tra cultura uma-

nistica e cultura scientifica».

8

 Il concetto di «didattica sostenibile» e la distinzione tra «utilità immediata» e “utilità differi-

ta” sono in D. Puliga,

Percorsi della cultura latina. Per una didattica sostenibile

, Carocci, Roma, 2008.

9

 Nei primi mesi del 2012 il supplemento domenicale de

Il Sole 24 Ore

ha lanciato una ve-

emente campagna a difesa della Cultura come fattore di crescita economica: investire in

cultura in Italia, dicono i dati forniti dai promotori, potrebbe rimettere in moto l’economia.

Il titolo del manifesto significativamente sintetizza: «Niente cultura, niente sviluppo» (19

febbraio 2012). Da ultimo, si può citare la ricerca

L’Italia che verrà: Rapporto 2012 sull’industria

culturale in Italia

presentata a Treia (Macerata) a cura della Fondazione Symbola e di Union-

camere con il patrocinio della Regione Marche secondo cui il comparto “cultura” pesa sul

PIL nazionale per il 5,4%; si tratta, cioè, di un comparto che produce quasi 76 miliardi di

euro assorbendo il 5,6% degli occupati in Italia (in cifre un milione e 400 mila persone).

Visto che aggiungendo anche l’indotto si arriva al 15% del Prodotto Interno Lordo con ben

il 18,1% degli occupati, il settore cultura – stando ai dati della ricerca – si conferma come il