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620

Parte Seconda

Discipline giuridiche

Il diritto commerciale

www.

edises

.it

37.2.5

 L’impresa familiare

L’impresa familiare è un istituto introdotto dalla L. 19-5-1975, n. 151, nell’ambito

della riforma del diritto di famiglia. Ai sensi dell’art. 230-

bis

c.c. è

tale quella nella

quale prestano attività continuativa di lavoro il coniuge, i parenti entro il terzo

grado, e gli affini entro il secondo, qualora non sia configurabile un diverso rap-

porto

. L’istituto dell’impresa familiare riveste, pertanto,

carattere residuale

, trova cioè

applicazione solo nel caso in cui i soggetti coinvolti non hanno regolato diversamente

i loro rapporti. L’impresa familiare, per quanto sia caratterizzata da una gestione

comunitaria dell’attività economica, non dà luogo ad una società, ma resta un’im-

presa individuale. Ciò si spiega con il fatto che i familiari non sono imprenditori, ma

soltanto collaboratori dell’unico imprenditore.

La

ratio

dell’introduzione di detto istituto va ravvisata nell’esigenza di tutelare i sogget-

ti più deboli all’interno della famiglia (donne e figli), che spesso in passato prestavano

la loro attività lavorativa gratuitamente, quasi fosse un atto dovuto in virtù del rap-

porto di parentela che li legava all’imprenditore. Questa necessità di tutela manca se

il rapporto di lavoro è regolato da altre disposizioni (es. in tema di società e di lavoro

subordinato).

L’impresa familiare è in genere un’impresa di piccole dimensioni, ma non è escluso

che possa essere una vera e propria impresa commerciale.

I

partecipanti all’impresa familiare

hanno:

>

il

diritto al mantenimento

secondo le condizioni patrimoniali della famiglia;

>

il

diritto di partecipare agli utili dell’impresa, ai beni con essi acquistati e agli incrementi di

valore dell’azienda

, in proporzione alla quantità ed alla qualità del loro lavoro;

>

il

diritto di partecipare alla gestione dell’impresa

, soprattutto per quanto riguarda le de-

cisioni più importanti, ossia quelle concernenti l’impiego degli utili e degli incre-

menti, gli atti di straordinaria amministrazione, gli indirizzi produttivi e la cessazio-

ne dell’impresa;

>

il

diritto di prelazione sull’azienda

in caso di divisione ereditaria o di trasferimento

dell’azienda; in queste ipotesi, cioè, hanno il diritto di essere preferiti ai terzi a

parità di condizioni.

Ai sensi dell’art. 230-

ter

c.c. (aggiunto dalla L. 76/2016) il diritto di partecipazione

agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi

dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, spettano altresì al convivente di fatto

che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente;

ovviamente il tutto deve essere commisurato al lavoro svolto. Il diritto viene meno

qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Le decisioni più importanti devono essere prese da tutti i partecipanti

a maggioranza,

mentre la gestione ordinaria spetta al titolare.

Infine, il diritto di partecipare all’impresa può essere trasferito solo a favore di altri

membri della famiglia e solo con il consenso unanime di tutti coloro che già parte-

cipano all’impresa.