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Lo sviluppo professionale dei docenti

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Che cosa vogliono dire, così, “includere” e il suo contrario “escludere”?

1

Una concezione sociale e politica dell’inclusione non può che prevedere,

innanzitutto, un’organizzazione e una gestione democratiche di tutte e di

ciascuna istituzione, ai vari livelli politici e sociali: includere vuol dire non

escludere, non separare, non isolare, non decentrare, ma al contrario, raf-

forza i significati e le pratiche per inserire, avvicinare, chiamare in causa,

fare partecipe; significa non allontanare, ma avvicinare, chiamare a rendere

conto, a portare il proprio contributo, a seconda delle proprie possibilità

e capacità, di idee, di conoscenze e di competenze; significa favorire il dia-

logo e la partecipazione tra le parti, o meglio tra le persone, in famiglia e a

scuola, così come significa, ancora, sviluppare la compartecipazione dei vari

soggetti coinvolti nelle scelte comuni, al di là delle diverse visioni della vita

e della cultura, quelle stesse che aiutano a migliorare la vita quotidiana e ad

incrementare il significato di una esistenza costellata da processi di ricerca

continua di apertura verso gli altri, quindi di empatia e di “com-passione”

2

.

Ne consegue che la scuola e, in particolare, una scuola che accoglie, condi-

vide, sorregge e intende risolvere, tra gli altri, i problemi dei “diversi”, possa

fare riferimento ai molteplici aspetti della questione, sia di natura conosciti-

va che organizzativa e gestionale

3

.

1

 Il verbo “includere”, a nostro parere, può essere letto secondo due linee di significato

che possono, tra loro, sia convergere che divergere. Un

primo significato

, infatti, ci rimanda

all’azione di un soggetto (o di più soggetti) che “includono” ossia “chiudono dentro”; un

secondo significato

, invece, è sinonimo di “comprendere”, ossia di contenere. Ebbene, se

noi ci fermassimo al primo significato, in termini pedagogici, sceglieremmo un model-

lo educativo chiuso, di tipo unidirezionale, trasmissivo, direttivo, nel senso che c’è chi

“chiude dentro”, da una parte, cioè opera la scelta, ha il potere di farlo e chi, dall’altra, la

subisce. Il problema che si pone, in proposito, è: il “rinchiuso” (si potrebbe dire il recluso)

quando e come si emancipa? Quando trova la possibilità di uscire dal recinto? Metafori-

camente, come e quando potrà pensare con la propria testa?

Il secondo significato

, invece, è

più vicino alla nostra scelta pedagogica perché l’inclusione si presenta qui come modello

metaforicamente aperto; includere, in questo caso, è sinonimo di comprensione (capire

insieme, interagire, dialogare, fare scelte comuni, lavorare e cooperare per il “bene co-

mune”). Ebbene, secondo noi, è effettivamente in grado di comprendere solo colui che

non stabilisce chiusure; chi non costruisce classificazioni; chi non avanza motivazioni o

elenca pregiudiziali che allontanino anziché avvicinare. Uno dei compiti di fondo di un

educatore, tra gli altri, è quello di porre attenzione all’uso delle parole, alla loro “discrimi-

nazione positiva” perché funzionino ed acquisiscano senso pieno e profondo all’interno

del contesto (Musello, Sarracino, 2017).

2

 L’empatia e la compassione sono sinonimi, in molte situazioni. Nel nostro caso li usia-

mo come tali con il significato di “sentimento di partecipazione verso l’altro”, come il

tentativo di mettersi dalla parte dell’altro o, ancora, delle ragioni dell’altro.

3

 La scuola, come risulta dal profilo che emerge dai decreti delegati del 1974 e dalle nor-

me successive, frutto del dibattito degli anni Settanta, è un luogo (o dovrebbe esserlo) di