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PARTE QUINTA
IL DIRITTO MATERIALE DELL’UNIONE EUROPEA
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1.1.2
•
La libera circolazione delle merci
L’articolo 9 del Trattato CEE disciplinava la libera circolazione delle merci:
“la Comu-
nità è fondata sopra una
unione doganale
che si estende al complesso degli scambi
di merci e importa il divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all’importazione
e all’esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente, come pure l’adozione di
una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi”.
La libera circolazione delle merci derivava, innanzitutto, dall’abolizione nel commer-
cio tra gli Stati membri dei
dazi doganali
e delle
tasse d’effetto equivalente,
ossia di
quegli oneri che, pur non essendo qualificati come dazi, indipendentemente dalla
denominazione e dalla struttura, producevano lo stesso effetto discriminatorio tra
prodotto nazionale e prodotto estero, elevando il prezzo di quest’ultimo, in ragione
del semplice attraversamento delle frontiere.
Perché si giungesse realmente all’eliminazione degli ostacoli alla libera circolazione
era necessario anche imporre il mantenimento dello
status quo
; da qui l’obbligo per
gli Stati membri di non reintrodurre tali strumenti nei rapporti reciproci.
L’
unione doganale
, realizzata tra gli Stati membri a partire dal
1° luglio 1968
, ha
comportato la soppressione dei dazi doganali all’interno della Comunità e l’adozio-
ne di una
tariffa doganale comune
(TDC)
applicata alle importazioni in provenien-
za da Paesi terzi.
Le restrizioni quantitative agli scambi (contingenti o quote) sono state abolite il 31
dicembre 1969, tranne che per alcuni prodotti agricoli per i quali sono state mante-
nute restrizioni fino al 1974.
Ulteriori sforzi circa l’eliminazione di tutti gli ostacoli hanno riguardato le misure
d’effetto equivalente a dazi doganali o a restrizioni quantitative.
GIURISPRUDENZA
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La Corte di Giustizia ha svolto un ruolo fondamentale nella concreta attuazione
dell’unione doganale, colmando le lacune dei trattati e definendo con precisione
gli ostacoli agli scambi.
In mancanza di una definizione chiara, la Corte, concentrando la propria atten-
zione unicamente sugli
effetti
, ha statuito che “misura con effetto equivalente a
restrizioni quantitative” è “ogni normativa commerciale degli Stati membri che
possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi
intracomunitari” (CGCE 8/74 dell’11-7-74
sentenza Dassonville
). Trattasi in gene-
rale di misure che colpiscono in modo esclusivo
i prodotti importati
.
Tuttavia, nella
sentenza Cassis de Dijon
(CGCE 120/78 del 20-2-79), la Corte ha
ritenuto che vi potessero essere misure di effetto equivalente anche senza di-
scriminazione tra prodotti importati e prodotti nazionali. In particolare, imporre
ai prodotti degli altri Stati membri le norme tecniche dello Stato di importazione
equivale a stabilire una misura equivalente in quanto si penalizzano i prodotti im-
portati obbligandoli ad un adeguamento oneroso. La mancata armonizzazione
europea delle normative non può giustificare questo atteggiamento che equiva-
le ad ostacolare la libera circolazione. Da tale considerazione la Corte deduce il
principio per cui “qualsiasi prodotto legalmente fabbricato e commercializzato