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Capitolo 18

TECNICHE DI BIOLOGIA CELLULARE E MOLECOLARE

guardare una struttura al microscopio usando un obiettivo

abbastanza potente (per esempio, 63

3

) e oculari che in-

grandiscono l’immagine dell’obiettivo di altre 5 volte (un

oculare 5

3

). Supponiamo che il campo sia composto di

cromosomi e sia importante determinarne il numero, ma

alcuni di essi sono molto ravvicinati e non sono distinguibi-

li come strutture separate (Figura 18.3

a

). Una soluzione al

problema potrebbe essere quella di cambiare gli oculari per

aumentare le dimensioni dell’oggetto che si sta osservando.

Passando da un oculare 5

3

ad uno 10

3

, con ogni probabili-

tà aumenterete le vostre possibilità di determinare il numero

dei cromosomi (Figura 18.3

b

), dato che avrete proiettato

l’immagine dei cromosomi prodotta dalle lenti dell’obiet-

tivo su una superficie più ampia della vostra retina. Tanti

più fotorecettori sono coinvolti nel fornire informazioni

sull’immagine, tanto maggiore sarà il dettaglio che potrà es-

sere osservato (Figura 18.4). Se passate però ad un oculare

20

3

, è improbabile che vedrete ulteriori dettagli, anche se

ciò che avevate osservato in precedenza apparirà più grande

(Figura 18.3

c

), occuperà cioè più superficie sulla retina. La

ragione per cui non aumenta la discriminazione dopo questo

secondo cambio di oculari è che l’immagine prodotta dall’o-

biettivo non possiede ulteriori dettagli che possano essere

evidenziati dalla potenza maggiore degli oculari. La seconda

sostituzione dell’oculare fornisce un

ingrandimento a vuoto

(Figura 18.3

c

).

La qualità ottica di un obiettivo è misurata in base a

quanto i più fini dettagli presenti nel campione possono es-

sere distinti, o risolti. La

risoluzione

raggiunta da un mi-

croscopio è limitata dall’effetto di diffrazione. A causa della

diffrazione la luce raccolta da un punto del campione non

crea mai un punto conforme nell’immagine, bensì un picco-

lo disco. Se i due dischi prodotti da due punti di un oggetto

vicini, ma non separati da una distanza sufficiente, si sovrap-

pongono, essi sono visti come una struttura unica, ovvero

non possono essere risolti. Quindi, il potere di risoluzione

di un microscopio può essere definito in termini della ca-

pacità di vedere due punti adiacenti nel campo visivo come

entità distinte. La risoluzione ottenibile da un microscopio

è limitata dalla lunghezza d’onda della sorgente luminosa

utilizzata secondo l’equazione

d

= 0,61

Q

n

sen

F

dove

d

è la distanza minima dalla quale due punti del cam-

pione devono essere separati per essere risolti,

Q

è la lun-

ghezza d’onda della luce (527 nm per la luce bianca),

n

è

l’indice di rifrazione del mezzo presente tra il campione e

le lenti dell’obiettivo. Alfa (

F

) è uguale al semiangolo del

cono di luce che entra nell’obiettivo, come mostrato in Fi-

gura 18.2. Alfa è una misura della capacità della lente di

raccogliere la luce ed è direttamente correlata con la sua

apertura.

Il denominatore dell’equazione è chiamato

apertura nu-

merica

(

A.N.

). L’apertura numerica è una costante per ogni

lente, una misura della sua capacità di ricevere la luce. Per

un obiettivo che è destinato per l’uso in aria, l’A.N. massima

possibile è 1,0, poiché il seno dell’angolo massimo possibile

F

, 90°, è 1, e l’indice di rifrazione dell’aria è 1,0. Per un

obiettivo destinato ad essere immerso in olio, la massima

A.N. è approssimativamente 1,5. Una regola pratica è che il

massimo ingrandimento utile per un microscopio è di circa

500-1000 volte l’apertura numerica dell’obiettivo utilizzato.

Tentare di aumentare l’ingrandimento al di sopra di que-

sto punto porta a un ingrandimento a vuoto, e la qualità

dell’immagine viene deteriorata. Una A.N. elevata è ottenu-

ta usando lenti con una lunghezza focale breve, tale da per-

mettere alle lenti di essere poste molto vicino al preparato.

Se poniamo nell’equazione il minimo possibile della lun-

ghezza d’onda e l’apertura numerica massima possibile, pos-

siamo determinare il

limite di risoluzione

del microscopio

ottico. Si ottiene così un valore leggermente inferiore a 0,2

m

m (o 200 nm), che è sufficiente per risolvere gli organelli

cellulari più grandi, come nuclei e mitocondri. Per inten-

derci, il limite di risoluzione dell’occhio nudo, che ha una

apertura numerica di circa 0,004, è approssimativamente di

0,1 mm.

In aggiunta a questi fattori teorici, vari difetti o

aberra-

zioni

delle lenti possono influire marcatamente sul potere

di risoluzione. Ci sono sette importanti aberrazioni di cui i

produttori di lenti devono tener conto per produrre obiettivi

con potere risolutivo vicino al limite teorico. Per eliminare

queste aberrazioni gli obiettivi sono fabbricati con una se-

rie complessa di lenti piuttosto che una singola lente con-

vergente. Tipicamente una lente serve per l’ingrandimento,

mentre le altre compensano gli errori della prima lente, per

ottenere un’immagine corretta.

La visibilità

In microscopia, un punto di vista più pratico di quello della

risoluzione è il concetto di

visibilità

, che riguarda i fatto-

ri che permettono ad un oggetto di essere effettivamente

osservato. Potrebbe sembrare ovvio che se un oggetto c’è,

Figura 18.3

Confronto fra ingrandimento e risoluzione.

La tran-

sizione da (

a

) a (

b

) mostra cosa si ottiene aumentando ingrandimento

e risoluzione, mentre la transizione da (

b

) e (

c

) mostra solo un aumen-

to di ingrandimento (ingrandimento a vuoto). Infatti, la qualità del-

l’immagine peggiora quando aumenta l’ingrandimento a vuoto.

Figura 18.4

Il potere risolutivo dell’occhio.

Illustrazione schema-

tica della relazione fra la stimolazione di fotorecettori singoli (sulla

sinistra) e quello che si percepisce (sulla destra). Il diagramma mostra

l’importanza che l’immagine cada su di un’area sufficientemente am-

pia della retina.

(c)

(b)

(a)

Fotorecettore stimolato

Fotorecettore non stimolato