

328
Parte III - Simulazioni d’esame
www.
edises
.it
dimostra di non sapere bene che farsene, dei decimatori. Ogni analisi, ogni
previsione, diventa subito archeologia. La seconda ragione è che i saggi che
leggevo tendevano a polarizzarsi tra favorevoli e contrari, come se invece
che di capire la trasformazione in corso si trattasse di fare il tifo. I favorevoli
erano molto favorevoli: non era chiaro che internet avrebbe realizzato, con
altri mezzi, i sogni irrealizzati del Sessantotto? I contrari erano molto contrari:
non era chiaro che internet avrebbe distrutto la civiltà che avevamo costruito
con infinita pazienza nel corso di secoli e che al suo posto avrebbe messo,
esattamente, niente? I favorevoli erano intelligenti, brillanti, inattendibili e un
po’ fatui. I contrari erano intelligenti, colti e un po’ più grigi, e molto meno
fatui. Magari non per indole, ma perché questo è il ruolo che tocca a chi non
abbraccia volentieri il cambiamento: gli euforici sono gli altri.
Sulla linea critica, anzi ipercritica, è uscito recentemente un libro di Raffaele
Simone dal titolo
Presi nella rete
(ma uno sforzo di fantasia, o editori italiani,
almeno nei titoli?). Simone ha un profilo molto diverso rispetto a quello di
coloro che si occupano in genere di questi argomenti: è uno dei linguisti
italiani più insigni, ha scritto saggi belli e importanti sull’istruzione. Da uno
studioso con questa formazione ci si poteva aspettare un libro risolutamente
contrario alla civiltà digitale: alla sua fretta, alla sua approssimazione.
Presi
nella rete
non tradisce le attese: l’inciviltà digitale rende i media ubiqui e
ossessionanti (cellulari che squillano ovunque, brandelli di conversazione
altrui che siamo costretti ad ascoltare); restringe lo spazio della lettura e della
scrittura e amplia enormemente quello dell’immagine, che è più semplice
e più povera di contenuto, e asseconda la pigrizia; indebolisce la memoria;
asseconda le opinioni irriflesse e dà a qualsiasi idiota la facoltà di urlare la
propria (basta un giro tra i commenti su «YouTube», o nei blog culturali); è
per natura nemica dei saperi tradizionali, quelli che si acquisiscono attraverso
lo studio; fa piazza pulita della varietà linguistica imponendo a tutti quanti un
inglese da aeroporto; isterilisce l’arte del narrare perché modifica radicalmen-
te le forme dell’esperienza umana. Eccetera.
Di fatto, il libro di Simone dice dei media attuali molte delle cose che sui
media attuali penso anch’io nei miei momenti di cattivo umore. Ciò che trovo
contestabile non è il fatto che Simone non spenda una parola su quanto di
buono in internet c’è o ci potrà essere in futuro: Simone ha tutto il diritto di
scrivere un saggio a tesi. Ciò che trovo contestabile è che, in tutto il libro,
Simone contrapponga un modo giusto a un modo sbagliato di fare, pensare e
comunicare le cose, e che il modo giusto sia sempre quello di ieri, e il modo
sbagliato sempre quello di domani. Il testo digitale non porta tracce fisiche
di chi l’ha scritto, e questo è un male; la lettura non si fa più soltanto in spazi
isolati e silenziosi ma anche in mezzo alla folla, e questo è un male; l’ebook