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CAPITOLO (
dio a parte di un altro gene che codifica per una
proteina fluo-
rescente verde
(
GFP
) che si trova in alcune specie di meduse.
Quando la proteina codificata dal gene modificato viene sin-
tetizzata dalla cellula, essa contiene la sequenza aminoacidica
della GFP che rappresenta “un marcatore”. Poiché la GFP è
un fluoroforo endogeno, permette di osservare il movimen-
to intracellulare delle proteine “marcate”, monitorarle e mi-
surarle nelle cellule viventi.
La
microscopia confocale
ha portato a significativi pro-
gressi nella nostra comprensione della dinamica struttura-
le intracellulare (
FIG. '()f
). Un microscopio confocale utiliz-
za un laser per eccitare fluorofori in un solo punto del cam-
pione, consentendo all’investigatore di visualizzare oggetti in
un unico piano focale. Nella microfotografia presente all’i-
nizio del capitolo, un computer ha assemblato una serie di
immagini sovrapposte ottenute da una serie di sezioni otti-
che prelevate dal basso verso l’alto della cellula per ricostru-
ire un’immagine tridimensionale. L’uso di potenti metodi di
immagini computerizzate e di fotorivelatori ultrasensibili ha
notevolmente migliorato le strutture di risoluzione marca-
te con coloranti fluorescenti. I recenti sviluppi riguardanti
tale tipo di immagine hanno portato al superamento della
“barriera risoluzione” di 200 nm, utilizzando le minori lun-
ghezze d’onda della luce visibile. Le nuove tecnologie di su-
per-risoluzione di immagini permettono di ottenere imma-
gini inferiori a 70 nm ottenute da cellule viventi trattate con
singole molecole di fluorofori. Ad esempio, questi progres-
si tecnologici hanno consentito ai ricercatori di monitora-
re il movimento intracellulare nelle cellule del tessuto cere-
brale (
FIG '('
).
Il microscopio elettronico fornisce immagini
ad alta risoluzione che possono essere
ingrandite enormemente
Anche se si utilizzano buoni microscopi e opportune tecniche
di marcatura, il normale microscopio ottico può solamente di-
stinguere i dettagli più grossolani della cellula (
FIG. '(<a
). Gra-
zie all’introduzione del
microscopio elettronico (ME)
, che è
stato ampiamente utilizzato a partire dal 1950, i ricercatori fu-
rono in grado di studiare i dettagli fini, ovvero l’
ultrastruttura
cellulare, a dimensioni tali da definire la struttura dei compar-
timenti cellulari e le strutture associate alle membrane cellu-
lari.
Poiché gli elettroni hanno lunghezze d’onda molto brevi,
dell’ordine di 0,1-0,2 nm, il microscopio elettronico ha un po-
tere risolutivo di poco meno di 1 nm. Questo alto grado di ri-
soluzione permette di ottenere ingrandimenti di più di 1 mi-
lione di volte, se paragonati ai tipici ingrandimenti del micro-
scopio ottico, compresi tra 1500 e 2000 volte.
L’immagine fornita dal microscopio elettronico non può
essere vista direttamente. Il fascio elettronico di per sé è co-
stituito da elettroni ad alto contenuto di energia che, essendo
carichi negativamente, possono essere focalizzati da un elet-
tromagnete, così come l’immagine in un microscopio ottico
è focalizzata attraverso una lente di vetro (
FIG. '(<b
). I due tipi
di microscopio elettronico sono il
microscopio elettronico
a trasmissione (MET)
e il
microscopio elettronico a scan-
sione (MES)
. Gli acronimi MET e MES si utilizzano anche per
indicare micrografie preparate con un ME a trasmissione o
a scansione. Le micrografie elettroniche sono in bianco e ne-
ro. Esse vengono spesso colorate per evidenziare determina-
te strutture.
La
microscopia a contrasto di fase e la microscopia a con-
trasto di interferenza differenziale (Nomarski)
sfruttano le dif-
ferenze di densità all’interno della cellula (
FIG. '()d
ed
e
). Tali
differenze di densità fanno sì che le varie regioni del citopla-
sma rifrangano la luce in maniera diversa. Utilizzando questi
microscopi, gli scienziati possono osservare le cellule viventi
in azione e le loro numerose strutture interne che cambiano
continuamente forma e posizione.
I biologi cellulari utilizzano il
microscopio a fluorescenza
per individuare molecole specifiche all’interno delle cellule.
Nel microscopio a fluorescenza, dei filtri trasmettono la lu-
ce emessa da molecole fluorescenti, o
fluorofori
. I fluorofori
sono molecole che assorbono l’energia luminosa a una certa
lunghezza d’onda e ne riemettono una parte a una lunghez-
za d’onda superiore (come i colori che brillano al buio, vedi
la Fig. 9-3). Nella microfotografia presente all’inizio del ca-
pitolo sono mostrati i tre diversi tipi di fluorofori. Il nucleo
è colorato con un composto organico che diventa un fluoro-
foro quando si intercala all’interno del doppio filamento del-
le molecole del DNA. Quando la luce ultravioletta viene fat-
ta passare attraverso il campione, ciascuna molecola di fluo-
roforo assorbe l’energia da un fotone di luce ultravioletta e
poi rilascia parte di questa energia sotto forma di un altro fo-
tone che ha la lunghezza d’onda della luce blu visibile. Il co-
lore rosso deriva da un fluoroforo che è legato chimicamente
ad un anticorpo che si lega specificamente alla proteina che-
ratina; invece il colore verde derivata da un fluoroforo che è
legato chimicamente alla falloidina, una molecola isolata da
un fungo che si lega in modo specifico ai microfilamenti. Gli
anticorpi
sono proteine che derivano dal sistema immunita-
rio. Ogni tipo di molecola di anticorpo può legarsi a una sola
regione specifica di un’altra molecola (ad esempio, una picco-
la zona di aminoacidi sulla superficie di una proteina). La mo-
lecola fluorescente verde nella microfotografia si lega esclu-
sivamente a una piccola regione di una proteina dei microfi-
lamenti e l’anticorpo fluorescente rosso si lega esclusivamen-
te a una regione specifica di cheratina, una proteina dei fila-
menti intermedi. Si noti anche che nella microfotografia c’è
anche il colore giallo. Esso è dovuto alla miscelazione del co-
lore verde e del colore che deriva dalle proteine dei microfila-
menti e da quelle dei filamenti intermedi che sono molto vi-
cini l’uno con l’altro. Questo metodo (usando la microscopia
ad alta sensibilità) viene comunemente utilizzato per studia-
re le localizzazioni corrispondenti (e le eventuali interazioni)
di diverse proteine nelle cellule.
Il microscopio a fluorescenza, utilizzando anticorpi co-
niugati con fluorocromi, viene utilizzato per osservare cellu-
le non viventi che sono state “fissate” con sostanze chimiche
che formano legami incrociati tra le proteine cellulari e al-
tre macromolecole per conservarle nelle loro condizioni nor-
mali. I biologi oggi impiegano anche i tipi di molecole fluo-
rescenti per studiare le dinamiche interne delle cellule viven-
ti (
in vivo
). Alcuni tipi di fluorofori sono stati sviluppati per
diffondere naturalmente, all’interno delle cellule senza dan-
neggiarle. Oggi sono disponibili molti composti che vengono
utilizzati per rilevare le variazioni di pH intracellulare, le con-
centrazioni degli ioni all’interno dei compartimenti intracel-
lulari e le differenze di carica elettrica attraverso le membra-
ne. Questo viene fatto misurando variazioni nella lunghez-
za d’onda o l’intensità di fluorescenza emessa. I biologi usa-
no anche metodi di ingegneria genetica (vedi Capitolo 15) per
collegare il gene che codifica per una proteina in fase di stu-