I BATTERI
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Parte I
Le patologie più frequenti da micobatteri non-tubercolari
sono quelle da micobatteri appartenenti al
Mycobacterium
avium-complex
(MAC). Secondo i dati di studiosi giappo-
nesi, la presenza di anticorpi sierici (in particolare di tipo
IgA), dimostrabili mediante un saggio immunoenzimatico,
nei confronti di un glicopeptidolipide (GPL) che forma la
porzione centrale (
core
) comune ai principali antigeni di
superficie dei micobatteri non-tubercolari a crescita lenta,
sarebbe indicativa di infezione attiva da MAC e consentireb-
be, tra l’altro, la diagnosi differenziale con l’infezione attiva
da
Mycobacterium tuberculosis
.
Va comunque tenuto presente che, occasionalmente, anche
altri micobatteri, contaminanti ambientali, possono, sebbene
con molto minore frequenza, provocare infezioni in soggetti
immunocompromessi. Sino a qualche anno fa, alcuni mico-
batteri come
M. gordonae
,
M. simiae
,
M. shimoidei
, ed
M. ce-
latum
– alcuni dei quali contaminanti delle condotte di acqua
negli ospedali (e causa, talora, di erronei reperti di «bacilli
acido-resistenti» in preparati microscopici trattati con solu-
zioni coloranti allestite con acqua corrente) – se repertati in
una coltura, sarebbero stati scartati come «contaminanti» di
origine ambientale. Oggi, invece, ogni isolamento di un mi-
cobatterio non-tubercolare da un materiale patologico deve
essere scrupolosamente valutato in rapporto alle condizioni
(immunitarie, soprattutto) del paziente ed alla patologia in
atto (oltre che in rapporto al rischio che si tratti di una acci-
dentale contaminazione di origine ambientale dei terreni di
coltura) prima di deciderne l’eventuale significato clinico.
Diagnosi di infezione
La diagnosi di infezione da micobatteri non-tubercolari è basata, ovviamente, sull’isolamento col-
turale dal materiale patologico in esame. Molte volte
si tratta di reperti occasionali nelle colture allestite
nel corso di procedimenti diagnostici avviati per un
sospetto di infezione «tubercolare». Va comunque te-
nuto presente che alcuni micobatteri non-tubercolari
presentano particolari esigenze nutrizionali (
M. gene-
vense
,
M. haemophilum
) o crescono con estrema len-
tezza (
M. malmoense
) e possono quindi non essere
repertati nelle colture allestite per l’isolamento di
M.
tuberculosis
, per cui, soprattutto nel caso di pazienti
immunocompromessi ed in presenza di un adeguato
sospetto clinico, è necessario utilizzare i necessari ac-
corgimenti (impiego di terreni arricchiti, incubazione
delle colture per tempi molto lunghi, etc.) in grado di
portare alla diagnosi.
L’identificazione di specie si basa sull’analisi del pro-
filo biochimico del micobatterio o, con maggiore rapi-
dità, sull’impiego di sonde molecolari specifiche per il
genoma delle singole specie micobatteriche. L’impiego
di sonde molecolari insieme alle tecniche di amplifica-
zione (PCR) delle sequenze genomiche bersaglio, è il
metodo diagnostico da preferire tutte le volte che sia
possibile disporre del necessario equipaggiamento.
Sensibilità ai farmaci antibatterici
La sensibilità dei micobatteri non-tubercolari ai far-
maci antimicobatterici di maggiore impiego (isonia-
zide, rifampicina, etambutolo, etc.) può variare no-
tevolmente da una specie all’altra e impone, quindi,
di norma, lo studio preliminare dello spettro di far-
maci attivi
in vitro
nei confronti dei singoli stipiti
isolati.
In particolare, i micobatteri del
M. avium complex
che sono i micobatteri non-tubercolari di maggior
riscontro nei pazienti con AIDS, sono resistenti alla
maggior parte dei farmaci attivi nei confronti di
M.
tubercul sis
ed il loro trattamento (alcuni stipiti sono
sensibili a macrolidi, chinolonici e ad alcuni amino-
glicosidi come l’amikacina) rappresenta un problema
spesso di non facile soluzione.
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Mycobacterium leprae
Mycobacterium leprae
(bacillo di Hansen), tradizional-
mente classificato nel genere
Mycobacterium
(7)
è l’agen-
te eziologico della
lebbra
, una malattia ancora molto
diffusa in vaste aree del globo (Brasile, India, Congo,
Tanzania, Nepal, Mozambico, Madagascar, Angola, Re-
pubblica Centro-Africana) e, stando ai dati recenti della
OMS, con poco meno di mezzo milione di nuovi casi all’anno. La patologia è presente anche in Italia con poche
centinaia di casi. La lebbra è una malattia cronica a lun-
go decorso con un lunghissimo periodo di incubazione
(fino ad alcuni anni) clinicamente caratterizzata dalla
presenza di lesioni granulomatose (istologicamente si-
mili a quelle tubercolari) cutanee o mucose (noduli le-
prosi o lepromi) che vanno incontro ad ulcerazioni (ma
non a caseificazione) provocando spesso mutilazioni
deformanti (al volto), e da lesioni che coinvolgono varie
terminazioni nervose periferiche con comparsa di vaste
aree di anestesia cutanea. Il prevalente tropismo per la
cute e le mucose (delle prime vie respiratorie, in parti-
colare) si ritiene legato alla loro temperatura, inferiore
a quella dei parenchimi profondi (anche se questi ultimi
sono spesso coinvolti dalla patologia).
Dal punto di vista anatomo-clinico, dopo un periodo d’inva-
sione più o meno lungo, che spesso si accompagna a sintomi
generali (febbre irregolare, malessere, etc.), la lebbra si può
presentare in modo vario ma con una sintomatologia ricon-
ducibile a due tipologie essenziali (collegate da un gradien-
te di forme miste) a seconda della risposta immunitaria del
(7)
Studi con diverse metodiche hanno tuttavia dato risultati diver-
genti sulle sue relazioni biologiche e filogenetiche con il resto dei
micobatteri. Ad esempio la percentuale di guanina e citosina nelle
sequenze di DNA che fiancheggiano alcuni epitopi immunodomi-
nanti e l’analisi delle sequenze di RNA ribosomiale, suggeriscono
uno stretto rapporto tra
M. leprae
e gli altri micobatteri, mentre lo
studio della ibridazione di sequenze oligonucleotidiche dello RNA
ribosomiale 16S non ha messo in evidenza rapporti significativi, in
accordo con l’assolutamente unico profilo elettroforetico dei fram-
menti di RNA ribosomiale 16S di
M. leprae
, ottenuti mediante digestione con diversi enzimi di restrizione. Nel peptidoglicano della
parete cellulare di
M. leprae
, inoltre, la glicina sostituisce costante-
mente la lisina presente negli altri micobatteri. In base a questi dati
alcuni studiosi suggeriscono che
M. leprae
dovrebbe essere classi-
ficato insieme ai membri del genere
Nocardia
(si veda in seguito).