

La Primavera araba
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dei chierici militanti, che verrà riconfermato alla presidenza nel
maggio 2017.
In
Iraq
, le proteste contro il regime del presidente Jal
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, membro dell’Alleanza del Kurdistan, scoppiate nella
provincia del Wassit, a sud di Baghdad, divamparono a Sulaima-
niyah, nel Kurdistan iracheno, quindi a Kirkut, Mosul, Hawija,
Samarra, Calar, Baghdad, Fall
ū
jah e Bassora, Hilla e N
ā
siriyya.
Ad aprile 2014 le elezioni politiche decretarono la vittoria
della coalizione sciita guidata dal primo ministro in carica
Nūrī
al-M
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. Nel luglio successivo fu eletto presidente F
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Ma
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m, membro dell’Unione patriottica del Kurdistan.
In
S
iria
– governata dal 2000 da Bashar al-Asad
– la rivolta,
destinata presto a sboccare in aperta guerra civile, si estese
rapidamente a Homs, ai sobborghi di Damasco, a Harasta, ad
Aleppo, a Raduni, Qamishili e Amuda, città roccaforti dell’Eser-
cito siriano libero (ESL), fronte armato della ribellione, al quale
si affiancarono subito gruppi organizzati d’ispirazione fonda-
mentalista vicini ad al-Q
ā
‘ida. La repressione messa in atto dal
regime, deciso a non abbandonare il potere, costrinse migliaia
di civili a fuggire in Turchia, nella regione dell’Hatay, facendo
riesplodere fra la Turchia e la Siria le tensioni che le avevano
portate sull’orlo della guerra nel 1998.
La crisi siriana fu subito seguita con apprensione dalla diplo-
mazia internazionale. La posizione degli Stati Uniti
– che agli
inizi del 2000 avevano iscritto la Siria nella lista degli Stati
“canaglia”, considerati una minaccia per la pace mondiale –
andò irrigidendosi all’aggravarsi delle violenze. Sanzioni furono
decise contro il presidente siriano e altri esponenti del partito
Baath al potere. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni
Unite, in sessione straordinaria, condannò l’escalation delle
violenze, mentre l’Unione europea
approvò un embargo sulla
fornitura di armi al regime.
La Russia, dopo aver manifestato la sua opposizione a qualsia-
si risoluzione dell’ONU, continuò ad appoggiare al-Asad, insie-
me all’Iran, mentre la Casa Bianca cominciò subito a sostenere