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Capitolo 1
L’origine dell’istituzione penitenziaria
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e delle pene
, opera del milanese
Cesare Beccaria
(1738-1794), con cui furono poste
le basi della moderna scienza criminologica. Secondo il Beccaria, il delitto è una
violazione dell’ordine (o contratto) sociale e la pena è una difesa di siffatto ordine.
Su queste premesse, il giurista italiano giunge, attraverso una lucidissima e radicale
revisione critica, condotta sui metodi giudiziari del suo tempo, alla conclusione che
la pena di morte non è “né utile né necessaria”, perché contraddice il “principio
contrattualistico”. Con la sua opera, Beccaria non mancò d’influenzare i legislatori
d’Europa, che si rifecero alle sue teorie nei loro tentativi di riforma, come quello
promosso in Russia da Caterina II.
Altrettanto famosi, in questo periodo, furono gli scritti dell’inglese
John Howard
(1726-1790), che dettero luogo alla teoria dei
sistemi penitenziari
. Howard denunciava
il drammatico stato delle prigioni e, nel formulare proposte di riforma ispirate alle
esperienze “modello” – sopra ricordate – di Rasp-Huis ad Amsterdam e della casa di
correzione per ragazzi “discoli” di Roma, indicava quali elementi fondamentali del
trattamento carcerario la disciplina, il lavoro e la religione, attraverso i quali si sareb-
be potuto conseguire il riadattamento sociale del condannato.
Oltreoceano, negli Stati Uniti di fine XVIII secolo, il modello penitenziario comin-
cia a perfezionarsi nel confronto fra due sistemi di detenzione: quello filadelfiano e
quello auburniano.
1.3
I sistemi penitenziari e la «scienza delle prigioni»
Il sistema
cd.
filadelfiano
– così chiamato perché ebbe applicazione la prima volta
nella prigione di Walnut-Street a Filadelfia, nello stato della Pennsylvania, nel 1790 –
era basato sul principio dell’isolamento continuo (diurno e notturno) dei detenuti,
accompagnato dalla preghiera e dal lavoro. Si riteneva, a sostegno di questo sistema,
che il carcere dovesse evitare a ogni costo la contaminazione fra individui di per sé già
“ribelli”. La penitenza li avrebbe ricondotti sulla “retta via”, rigenerandoli moralmente.
A partire dal 1816, nella prigione di Auburn, situata nello stato di New York, comin-
ciò a essere sperimentato un sistema meno drastico – detto
auburniano
dal nome del
carcere – modellato sulla casa di correzione per ragazzi “discoli” di Roma: l’isola-
mento veniva applicato durante i pasti, durante il riposo e di notte, mentre nel tempo
rimanente i reclusi vivevano e lavoravano insieme, seppur con l’obbligo del silenzio e
la sottoposizione a rigide regole disciplinari. Se da un lato l’isolamento notturno per-
metteva di scongiurare i danni morali della promiscuità, dall’altro lato la comunanza
diurna di vita e di lavoro serviva per ridurre i danni altrettanto gravi dell’isolamento
assoluto e continuato, dal quale sarebbero potuti derivare stati di follia.
Successivamente si inserì, fra questi due sistemi, quello sperimentato a partire dal
1859 nella prigione irlandese di Luck, detto sistema
misto o
progressivo
, perché
prevedeva quattro stadi graduali: dall’assoluto isolamento iniziale al campo di lavoro
all’aperto, adottando come secondo stadio il sistema auburniano e finendo, per ul-
timo, con la liberazione anticipata. Si passa così dalla mera funzione punitiva dell’i-
stituzione carceraria, quale sede di espiazione della pena, alla funzione produttiva e
risocializzante.
Questi tre sistemi furono al centro di studi e congressi internazionali con la parteci-
pazione di nomi illustri, fra cui gli italiani Mancini, Morichini, Peri, Peruzzi, Porro,