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Roma. Dallo stato-città all’impero senza fine

sostentamento; la derivazione del termine

colonia

(dal verbo

colere

, coltivare) rende

evidente l’importanza di questo elemento nel processo di deduzione coloniaria.

Tuttavia non sempre i Romani procedevano a nuove fondazioni: quando nei

territori assoggettati esistevano comunità dotate già di un impianto istituzionale

funzionale, le mantenevano in uso attraverso la trasformazione in municipi. Il

termine

municipium

deriva dal latino

munus

(dovere) e

capere

(prendere): i municipi

erano tenuti, infatti, ad assolvere a specifici doveri nei confronti di Roma e, in

particolare, a corrispondere a Roma tributi. Gli abitanti dei municipi potevano

godere di disparati statuti giuridici: potevano essere cittadini romani di pieno

diritto così come cittadini privi del diritto di voto e tali condizioni non erano

fissate in modo assoluto, ma soggette a variazioni in base ai comportamenti

individuali o collettivi della comunità nel suo complesso. I municipi avevano

autonomia amministrativa ed eleggevano i propri magistrati.

Vi erano infine situazioni in cui l’intervento organizzativo romano nei territori

assoggettati era praticamente nullo e i rapporti con le popolazioni vinte erano re-

golati attraverso un trattato: era questo il caso delle

civitates foederatae

e dei

socii

italici,

ossia degli alleati, costituiti soprattutto dalle città greche ed etrusche. La posizione

delle

civitates foederatae

e dei

socii

era quella più sfavorita, poiché mentre per un verso

non beneficiavano delle varie forme di diritto di cittadinanza romano, per l’altro

erano costretti a fornire truppe, o comunque supporto, all’esercito romano e do-

vevano pagare tributi a Roma; privi di ogni autonomia nelle relazioni internazio-

nali, non potevano stringere trattati con altri o muovere guerra autonomamente.

Sebbene la condizione degli alleati si configurasse quindi in termini fortemente

penalizzanti tanto da prefigurare potenziali rivolte contro l’oppressione romana, i

casi di sollevazione furono nel complesso pochi e limitati grazie ad un sistema di

fidelizzazione delle

élite

locali attuato da Roma, che le rendeva meno propense a una

ribellione e, di conseguenza, acquietava anche le intemperanze delle classi inferiori.

Questo complesso sistema di controllo del territorio, la cui realizzazione fu

prevalentemente empirica e non dettata da una valutazione tecnico-politica pre-

ventiva, portò comunque non solo a un assoggettamento delle realtà locali ma

a una assimilazione culturale, che omologò nuove e vecchie comunità nel nome

di Roma. Questo fenomeno viene solitamente definito romanizzazione, termi-

ne, coniato nel XIX secolo, ma teorizzato nei suoi contenuti almeno a partire

dal Settecento. La romanizzazione e la sua interpretazione storica è da alcuni

decenni oggetto di serrata critica e di continui tentativi di revisione. La principale

obiezione che viene mossa è di essere frutto di una visione romanocentrica che re-

lega ad un livello subordinato il contributo delle comunità indigene alla creazione

della cultura che definiamo comunemente romana, ma che nascerebbe invece

dalla commistione di varie culture differenti; pur tenendo in considerazione gli