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Parte II - Simulazioni d’esame

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Vale semmai l’opposto: le donne francesi sono in cima alla classifica europea

per numero di figli (un paio a testa, contro una media Ue di uno e mezzo e

il record negativo italiano di 1,3) e il loro tasso di impiego è sensibilmente

più alto che da noi (sfiora il 60 per cento). Certo, loro possono contare su

una serie di misure (in primis il celeberrimo sistema di nidi) che aiutano la

conciliazione fra vita professionale e famiglia. Mentre da noi solo 10 bam-

bini su 100 nella fascia d’età fra zero e due anni trovano posto negli asili

pubblici. Il problema è che finora gli interventi a sostegno della maternità

sono stati pensati prevalentemente come aiuti alle famiglie deboli, ai redditi

bassi, come welfare anti-povertà, senza un vero e proprio riconoscimento

del valore sociale della maternità in generale. Né tantomeno del valore del

lavoro femminile.

E così finisce che a molte donne lavorare non conviene: senza reti familiari

(per trovare un impiego spesso bisogna essere disposti a spostarsi da casa

e andare dove il mercato chiama) e prive di strutture pubbliche di sostegno

(non solo per l’accudimento dei più piccoli ma anche per la cura degli anzia-

ni che, tradizionalmente in Italia, è in capo alle figlie o alle nuore), lavorare

diventa, paradossalmente, non una fonte di guadagno ma un costo perso-

nale, e anche economico, insostenibile. Uno studio riportato oggi sul “Cor-

riere” dimostra come nelle aziende italiane siano ormai tramontati i vecchi

pregiudizi sulle donne ma permanga un’organizzazione rigidissima del lavoro

che spesso le costringe a rinunciare quando fanno un figlio. Alcuni progressi

sono stati fatti in termini di incentivi fiscali alle aziende che assumono donne

dopo la maternità, ma le politiche sulla conciliazione lavoro-famiglia restano

molto indietro. Il Nord e il Sud poi ci raccontano due realtà completamente

diverse con una qualità dei servizi molto distante e punte di inefficienza inac-

cettabili come il caso della chiusura lo scorso anno dell’ultimo asilo rimasto

a Reggio Calabria.

Come aiutare l’Italia a diventare un Paese anche per donne (e bambini)?

Qualche mese fa sulle pagine del “Corriere” Maurizio Ferrera ha fatto una

proposta in 4 punti che vorremmo rilanciare. Primo: allungare il congedo

obbligatorio di paternità; un giorno non basta nemmeno da un punto di vista

simbolico, figuriamoci sul piano pratico. Secondo: ampliare l’offerta dei nidi

pubblici creando almeno 100 mila posti in più in 5 anni. Terzo: aumentare i

servizi anche a domicilio per la cura dei nostri genitori. Ultimo ma non per

ultimo, agire sugli orari di lavoro rendendoli molto più flessibili (la stessa

Lagarde citava il modello olandese dove il part-time è quasi un diritto e a

chiederlo sono sempre più spesso anche gli uomini).

Si potrebbe aggiungerne un quinto. Come suggerito qualche giorno fa sulla

“Lettura” da Paola Mastrocola, basta con le scuole medie chiuse al pomerig-