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Prefazione

XI

assurgono nell’attività quotidiana al rango di Tavole della Legge), ma al diritto ammi-

nistrativo, al diritto del lavoro, al diritto civile e penale, al diritto comunitario. Pochi,

pochissimi esperti, spesso formati, come chi vi scrive, dalla pratica quotidiana, più

che da (inesistenti) scuole giuridiche. Non è previsto, accademicamente, un settore

scientifico disciplinare autonomo e l’insegnamento impartito negli Atenei, quando

c’è, è variamente attribuito ai settori pedagogici o giuridici. Mancano scuole di dot-

torato. Con l’effetto che il cultore della specifica disciplina è un “figlio di nessuno”.

Né i giuristi, né i pedagogisti lo riconoscono come proprio consanguineo e dunque

difficilmente si rendono disponibili a tradurre in cattedre, e dunque in “scuole”, un

impegno gravosissimo. Per non parlare della scelta di dove pubblicare, essenziale ai

fini del

cursus honorum

accademico. Dunque, nessun esperto “riconosciuto”

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. Il che si

ripercuote sulla qualità delle disposizioni e del

corpus

complessivo, perché chi è chia-

mato alla consulenza tecnico-giuridica ha sovente una preparazione non specialistica,

tutt’al più parziale, e dunque difficilmente è in grado tanto di valutare sia le ripercus-

sioni sul sistema complessivo, sia le eventuali difficoltà nell’applicazione pratica di

quanto statuito.

La buona scuola

La legge in commento non sfugge ai condizionamenti sopra citati. La natura com-

posita del testo e passaggi parlamentari tutt’altro che indolori sono facilmente riscon-

trabili: né sono, va sottolineato più volte, dovuti al “colore” dei proponenti: quasi

ogni provvedimento che riguardi l’istruzione, qualsiasi sia lo schieramento che ne

è padre, mostra in misura maggiore o minore evidenti “zeppe” e “accomodamenti”.

Il che non significa che la legge 107/2015 non sia una buona legge, anzi: i suoi effetti

si vedranno, almeno così ci si può augurare, nel medio periodo, a partire dalle inno-

vazioni, puntualmente segnalate, che, a prescindere dalla necessità o meno di qualche

ritocco, più sono potenzialmente in grado di incidere sulla qualità degli apprendimenti.

Sempre che, come sovente accade, la fase attuativa non ne stravolga i connotati, e che i

veri “attori” (dirigenti scolastici, ispettori, docenti…) ne sappiano cogliere le opportu-

nità, al di là delle proteste o dell’adesione meramente formale a questa o quella parola

d’ordine, buone l’una e l’altra per la piazza o per le ritualità dei convegni, ma non per

un’aula scolastica.

La genesi del provvedimento, di cui è opportuno dare breve conto, ha come sca-

turigine l’ampio documento “La buona scuola”, presentato nel settembre 2014 e sot-

toposto, prima di tradursi in proposte normative, a un dibattito pubblico frontale

e telematico. Attraverso l’articolo 1, commi 4 e 5 della legge 23 dicembre 2014, n.

190 (Legge di stabilità per il 2015) fu creato un capitolo dove accantonare le neces-

sarie (seppur parziali) coperture, volte in primo luogo alla definizione di un piano di

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Tra i pochi “maestri” del Diritto scolastico, corre l’obbligo di ricordare Livia Barberio

Corsetti, capo dell’Ufficio Legislativo durante il dicastero Berlinguer, scomparsa nel 2008,

e Sergio Auriemma, oggi Vice procuratore generale alla Corte dei Conti, ma con una lunga

carriera in Viale Trastevere.