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72

Parte Seconda

Prove ufficiali commentate

Testo 2

Alla base dell’italiano – ossia del dialetto fiorentino trecentesco, che ne costitui-

sce il nucleo essenziale – come alla base di tutte le altre lingue romanze, non è il

latino classico, ma il latino volgare.

Il concetto di “latino classico” è da secoli passato in giudicato: si tratta del latino

scritto dai prosatori e dai poeti del periodo cosiddetto “aureo” della letteratura

latina, tra la fine della Repubblica romana e il principato augusteo; l’assegnazione

dell’aggettivo

classico

al termine

latino

si deve all’erudito Aulo Gellio (II secolo

d.C.), il quale applicò alla letteratura la divisione della popolazione romana in di-

verse classi economiche attribuita al re Servio Tullio (come alla prima classe ap-

partenevano i cittadini emergenti, per censo e potere, così furono detti “classici”

gli scrittori eccellenti, ai quali adeguarsi scrivendo in latino).

Molto più incerto e discusso, invece, il concetto di latino volgare. Intanto l’agget-

tivo

volgare

è parso inadeguato, giacché alle innovazioni parteciparono “tutte le

classi sociali, tutto il mondo romano, non il volgo soltanto” […]. Il termine di “lati-

no volgare” ha però una giustificazione, in quanto allude espressamente alla “pre-

minenza decisiva del fattore sociale”: “il maggiore impulso alle tendenze innova-

trici, soprattutto in campo fonetico, dovette venire dall’inurbarsi dei rustici” e

quelle innovazioni si generalizzarono per “l’erosione del ceto colto sotto la pres-

sione delle masse” (Roncaglia).

Ma, a parte la questione del nome, è lo stesso concetto che sfugge a una defini-

zione univoca. Suggestiva, proprio per la sua radicalità, è la posizione di chi tende

a vedere nel latino volgare nient’altro che il latino parlato da tutti gli strati della

popolazione in tutti i periodi della latinità […]. Il vantaggio di una tale prospettiva

è quello di sottolineare gli elementi di continuità tra latino arcaico e latino tardo.

Non c’è dubbio che molti tratti del latino arcaico, infrenati dalla scuola nel perio-

do classico, riappaiano e si impongano nell’età della decadenza […].

Diremo dunque, riassumendo, che il latino volgare, da cui muovono le lingue ro-

manze, è il latino parlato nell’uso quotidiano (in opposizione al latino classico che

riproduce la lingua letteraria cristallizzata nel periodo aureo), quale era venuto

atteggiandosi nell’età della decadenza: con diversi tratti arcaici, ma con molte

innovazioni; relativamente uniforme per quanto riguarda le strutture morfologi-

che fondamentali (in nessuna lingua romanza sopravvivono ad esempio il passivo

o il futuro organici: segno che già il latino volgare li aveva dismessi), ma spazial-

mente vario e differenziato soprattutto per il lessico.

[L. Serianni,

Lezioni di grammatica storica italiana

, Bulzoni Editore, Roma 1998]

3)

Con riferimento al testo, rispondi alla seguente domanda. Con l’accezio-

ne di “latino classico” ci si riferisce:

A.

alla lingua utilizzata nelle loro opere dagli scrittori tra la fine della Re-

pubblica romana e il principato augusteo

B.

alla lingua che costituisce la base per la formazione dell’italiano