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PROVE UFFICIALI

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edises

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so russo, Ivan Lermolieff; a tradurli in

tedesco era stato un altrettanto ignoto

Johannes Schwarze. Gli articoli propo-

nevano un nuovo metodo per l’attribu-

zione dei quadri antichi, che suscitò tra

gli storici dell’arte reazioni contrastan-

ti e vivaci discussioni. Solo alcuni anni

dopo l’autore gettò la duplice maschera

dietro a cui si era nascosto. Si trattava

infatti dell’italiano Giovanni Morelli

(cognome di cui Schwarze è il calco e

Lermolieff l’anagramma, o quasi). E di

«metodo morelliano» gli storici dell’arte

parlano correntemente ancora oggi. Ve-

diamo brevemente in che cosa consisteva

questo metodo. I musei, diceva Morelli,

sono pieni di quadri attribuiti in manie-

ra inesatta. Ma restituire ogni quadro al

suo vero autore è difficile: molto spesso

ci si trova di fronte a opere non firmate,

magari ridipinte o in cattivo stato di con-

servazione. In questa situazione è indi-

spensabile poter distinguere gli originali

dalle copie. Per far questo, però (diceva

Morelli) non bisogna basarsi, come si

fa di solito, sui caratteri più appariscen-

ti, e perciò più facilmente imitabili, dei

quadri: gli occhi alzati al cielo dei per-

sonaggi di Perugino, il sorriso di quelli

di Leonardo, e così via. Bisogna invece

esaminare i particolari più trascurabili,

e meno influenzati dalle caratteristiche

della scuola a cui il pittore apparteneva:

i lobi delle orecchie, le unghie, la forma

delle dita delle mani e dei piedi. In tal

modo Morelli scoperse, e scrupolosa-

mente catalogò, la forma di orecchio

propria di Botticelli, quella di Cosmé

Tura e così via: tratti presenti negli origi-

nali ma non nelle copie. Con questo me-

todo propose decine e decine di nuove

attribuzioni in alcuni dei principali mu-

sei d’Europa. Spesso si trattava di attri-

buzioni sensazionali: in una Venere sdra-

iata conservata nella galleria di Dresda,

che passava per una copia di mano del

Sassoferrato di un dipinto perduto di

Tiziano, Morelli identificò una delle po-

chissime opere sicuramente autografe di

Giorgione. Nonostante questi risultati, il

metodo di Morelli fu molto criticato, for-

se anche per la sicurezza quasi arrogante

con cui veniva proposto. Successivamen-

te fu giudicato meccanico, grossolana-

mente positivistico, e cadde in discredi-

to. (È possibile, d’altra parte, che molti

studiosi che ne parlavano con sufficienza

continuassero a servirsene tacitamente

per le loro attribuzioni).

Il rinnovato interesse per i lavori di Mo-

relli è merito del Wind, che ha visto in

essi un esempio tipico dell’atteggiamen-

to moderno nei confronti dell’opera

d’arte – atteggiamento che porta a gu-

stare i particolari anziché l’opera com-

plessiva. In Morelli ci sarebbe, secondo

Wind, un’esasperazione del culto per

l’immediatezza del genio, da lui assimi-

lato in gioventù, a contatto con i circoli

romantici berlinesi. È un’interpretazio-

ne poco convincente, dato che Morelli

non si poneva problemi di ordine este-

tico (ciò che gli venne poi rimprovera-

to) ma problemi preliminari, di ordine

filologico. In realtà, le implicazioni del

metodo proposto da Morelli erano diver-

se, e molto più ricche. «I libri di Morelli,

– scrive Wind, – hanno un aspetto piut-

tosto insolito se paragonati a quelli degli

altri storici dell’arte. Essi sono cosparsi di

illustrazioni di dita e di orecchie, accura-

ti registri di quelle caratteristiche minu-

zie che tradiscono la presenza di un dato

artista, come un criminale viene tradito

dalle sue impronte digitali.., qualsiasi

museo d’arte studiato da Morelli acqui-

sta subito l’aspetto di un museo crimina-

le...». Questo paragone è stato brillante-

mente sviluppato da Castelnuovo, che ha

accostato il metodo indiziario di Morelli

a quello che quasi negli stessi anni veni-

va attribuito a Sherlock Holmes dal suo