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Parte III - Simulazioni d’esame

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per indole, ma perché questo è il ruolo che tocca a chi non abbraccia volen-

tieri il cambiamento: gli euforici sono gli altri.

Sulla linea critica, anzi ipercritica, è uscito recentemente un libro di Raffaele

Simone dal titolo

Presi nella rete

(ma uno sforzo di fantasia, o editori italiani,

almeno nei titoli?). Simone ha un profilo molto diverso rispetto a quello di

coloro che si occupano in genere di questi argomenti: è uno dei linguisti

italiani più insigni, ha scritto saggi belli e importanti sull’istruzione. Da uno

studioso con questa formazione ci si poteva aspettare un libro risolutamente

contrario alla civiltà digitale: alla sua fretta, alla sua approssimazione.

Presi

nella rete

non tradisce le attese: l’inciviltà digitale rende i media ubiqui e

ossessionanti (cellulari che squillano ovunque, brandelli di conversazione

altrui che siamo costretti ad ascoltare); restringe lo spazio della lettura e della

scrittura e amplia enormemente quello dell’immagine, che è più semplice

e più povera di contenuto, e asseconda la pigrizia; indebolisce la memoria;

asseconda le opinioni irriflesse e dà a qualsiasi idiota la facoltà di urlare la

propria (basta un giro tra i commenti su «YouTube», o nei blog culturali); è

per natura nemica dei saperi tradizionali, quelli che si acquisiscono attraverso

lo studio; fa piazza pulita della varietà linguistica imponendo a tutti quanti un

inglese da aeroporto; isterilisce l’“arte del narrare” perché modifica radical-

mente le forme dell’esperienza umana. Eccetera.

Di fatto, il libro di Simone dice dei media attuali molte delle cose che sui

media attuali penso anch’io nei miei momenti di cattivo umore. Ciò che trovo

contestabile non è il fatto che Simone non spenda una parola su quanto di

buono in internet c’è o ci potrà essere in futuro: Simone ha tutto il diritto di

scrivere un saggio a tesi. Ciò che trovo contestabile è che, in tutto il libro,

Simone contrapponga un modo giusto a un modo sbagliato di fare, pensare e

comunicare le cose, e che il modo giusto sia sempre quello di ieri, e il modo

sbagliato sempre quello di domani. Il testo digitale non porta tracce fisiche

di chi l’ha scritto, e questo è un male; la lettura non si fa più soltanto in spazi

isolati e silenziosi ma anche in mezzo alla folla, e questo è un male; l’ebook

non si può sfogliare, e questo è un male; i giovani «hanno un’idea di narrazio-

ne e di “storia” del tutto diversa dalla nostra, cioè da quella dei componenti

delle generazioni del Dopoguerra», e questo è un male…

Ripeto: io credo che Simone abbia spesso ragione nello specifico; ma credo

che abbia torto nell’impostazione generale del discorso. Da circa un secolo a

questa parte tutti i nonni sanno che i loro nipoti vivranno in un mondo molto

diverso da quello in cui hanno vissuto loro. Negli ultimi decenni il tempo è

andato più in fretta, e non accenna a rallentare, così la forbice ha comincia-

to ad aprirsi tra i genitori e i figli, tra i figli maggiori e tra i figli minori. Ma

proprio l’esperienza del passato ci dice che, se saremo fortunati, nel mondo